La visita del mese scorso del presidente russo Dimitri Medvedev in Turchia mostra che Turchia e Russia stanno rapidamente sviluppando stretti rapporti economici e politici.

La Turchia ha a tutti gli effetti rinunciato all’Unione Europea, riconoscendola come un bastione dell’islamofobia e prigioniera del diktat statunitense. Mentre la Svizzera mette al bando i minareti e la Francia si appresta a dichiarare fuorilegge il niqab, il popolare governo islamista di Istanbul si muove nella direzione opposta – supportando la libertà di indossare il velo, criticando temerariamente Israele e costruendo ponti con la Siria. Si tratta niente di meno che di un fondamentale riallineamento della politica turca verso i naturali alleati: gli Arabi …ed i Russi.

Questo nuovo allineamento con la Russia iniziò nel 2001, quando i ministri degli esteri dei due paesi firmarono il Piano d’Azione per la Cooperazione Eurasiatica. Questa collaborazione ha raggiunto l’apice dal febbraio 2009, quando il presidente turco Abdullah Gul si è recato in visita di stato in Russia, includendo una tappa nella fiorente Repubblica Autonoma del Tatarstan, ricca di energia, popolata da una maggioranza di turchi musulmani, dotata di condotte e di energia nucleare, catturando così l’attenzione generale.

In passato la Russia aveva cattivi rapporti con la Turchia, che sin dalla fondazione della repubblica nel 1922 è stata fermamente nel campo occidentale e veniva considerata da Mosca come il trampolino di lancio per l’infiltrazione nel Caucaso e nelle sue repubbliche turche del sud. Con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, la Russia di Eltsin acconsentì all’egemonia statunitense nella regione, e come parte della sua apertura all’Cccidente, scuole, ditte di costruzione e commercianti turchi si riversarono in gran numero negli “stan” ex-sovietici (Uzbekistan, Kazakhstan, Kyrgyzstan e Turkmenistan). L’11 settembre spinse il presidente russo Vladimir Putin financo ad accogliere basi militari americane negli “stan” più strategici. Il vecchio Grande Gioco sembrava essere finito, perso clamorosamente dalla Russia.

Ma quando il mondo si è stancato della “guerra al terrorismo” patrocinata dagli USA, è parso che il Grande Gioco, dopo tutto, non si fosse affatto concluso. La Turchia fu ben presto raggiunta nella NATO dalla Bulgaria e dalla Romania, trasformando di fatto il Mar Nero in un lago della NATO, allarmando l’allora risorgente Russia.

La “Rivoluzione Arancione” ucraina, supportata dall’occidente, nel 2004 inclinò ulteriormente la bilancia a sfavore della Russia, con il presidente ucraino Viktor Juščenko pronto a giurare solennemente che sarebbe entrato nella NATO e avrebbe cacciato la flotta russa dalla Crimea. Arrivò persino ad armare la Georgia nella guerra contro la Russia del 2008.

Ad ogni modo, non fu soltanto la Russia a stufarsi della nuova pax americana. Entro il 2007 circa il 90% dei turchi aveva maturato un’opinione sfavorevole degli USA. Non sorprende allora che la Turchia abbia iniziato a ritirare il proprio appoggio incondizionato alla NATO e agli Stati Uniti, in particolare nel 2003 durante l’invasione dell’Iraq e nel 2008 rifiutando alle navi da guerra statunitensi il passaggio dallo stretto del Bosforo per supportare la Georgia, nonché – quello stesso anno – criticando apertamente Israele per l’invasione di Gaza.

In contrasto con le rivoluzioni colorate sponsorizzate dagli USA nell’ex-blocco socialista, la “Rivoluzione Verde” nel 2002 ha portato al potere in Turchia il partito confessionale “Giustizia e Sviluppo”. La sua linea politica è consistita nel cercare un equilibrio regionale e relazioni pacifiche con i vicini, compresi l’Armenia e i Curdi. Nel 2004 il presidente russo Vladimir Putin ha firmato una dichiarazione congiunta di cooperazione con Ankara, aggiornata nel Febbraio 2009 a Mosca da Gul e da Dimitri Medvedev. Gul nell’occasione dichiarò: «Russia e Turchia sono paesi vicini che stanno sviluppando le loro relazioni sulla base della reciproca confidenza. Spero che questa visita darà a sua volta un nuovo carattere alle nostre relazioni».

La chiave è la proposta turca di creare una piattaforma per la stabilità e la cooperazione nel Caucaso. In seguito alla visita di Gul i media turchi hanno persino descritto le relazioni russo-turche come una “associazione strategica”, facendo senza dubbio risonare campanelli di allarme a Washington.

Niente di tutto questo avrebbe luogo senza solidi interessi economici. I vincoli economici tra Russia e Turchia si sono grandemente rafforzati nel corso dell’ultimo decennio: il volume degli scambi ha raggiunto i 33 miliardi di dollari nel 2008, la maggior parte per gas e petrolio, facendo della Russia il maggiore socio d’affari della Turchia. Presto potrebbero utilizzare la lira turca e il rublo russo nel commercio bilaterale.

Questo è il contesto in cui si è svolta, il 13 gennaio, la visita di Medvedev ad Ankara, focalizzata prevalentemente sulla cooperazione energetica. La russa AtomStroiExport ha vinto l’anno scorso l’appalto per la costruzione della prima centrale nucleare turca, e Medvedev era ansioso di ottenere l’approvazione definitiva alla partecipazione turca al gasdotto South Stream di Gazprom, diretto verso l’Europa. La Turchia presto riceverà l’80% del suo fabbisogno di gas dalla Russia, ma questa dipendenza non è più vista come una debolezza, date le nuove relazioni strategiche tra i due paesi.

Nabucco e South Stream

Il destino del gasdotto Nabucco, rivale occidentale del South Stream che dovrebbe a sua volta passare per la Turchia, è ora controverso. Il Nabucco spera di portare il gas dall’Iran e dall’Azerbaijan fino all’Europa attraverso Turchia e Georgia. Dato lo stallo tra l’Occidente e l’Iran e l’instabilità della Georgia, questa alternativa ai piani russi appare sempre meno attraente. L’Azerbaijan ha già astutamente firmato con il South Stream.

Il giornale russo Kommersant ha riportato le affermazioni di funzionari di Gazprom, secondo cui la Turchia potrebbe presto unirsi a Italia e Germania come “partner strategico” della Russia. L’italiana ENI è co-fondatrice del progetto South Stream. L’altro braccio della tenaglia di Gazprom intorno all’Ucraina è il Nord Stream, per il quale verso la fine dell’anno scorso la Germania ha dato la sua approvazione finale. Un ministro polacco ha paragonato il progetto russo-tedesco del Nord Stream al patto Molotov-Ribbentropp del 1939, perché il gasdotto permette alla Russia di consegnare il gas all’Europa e “chiudere il rubinetto” all’Ucraina nell’eventualità che smetta di pagare o inizi a rubare il gas, come è spesso accaduto sotto i rivoluzionari arancioni.

La Turchia è senza dubbio un giocatore chiave in questo nuovo Grande Gioco; sembra però che abbia cambiato schieramento. I primi ministri russo e turco hanno dato voce alla speranza che il volume degli scambi bilaterali possa triplicare entro il 2015, ed hanno annunciato piani per l’abolizione dei visti entro maggio di quest’anno. «Alla fine, senza dubbio, [l’abolizione dei visti] porterà ad attivare la cooperazione tra i nostri paesi», ha dichiarato il primo ministro turco Recep Erdogan.

Le elezioni presidenziali in corso in Ucraina potrebbero togliere un po’ di vento alle vele del South Stream. La sua convenienza potrebbe essere messa in discussione qualora il nuovo presidente ucraino riuscisse a convincere Mosca che lui/lei sarà in grado di evitare nuovi imbrogli. L’Ucraina, in gravi ristrettezze economiche, ha bisogno delle tasse di transito, destinate a scomparire se i piani attuali si concretizzassero. Ma il danno che i rivoluzionari arancioni hanno fatto all’economia ucraina e alle relazioni con la Russia è ormai un risultato consolidato. Ha dichiarato Alexander Rahr al Consiglio tedesco sulle Relazioni estere: «Sotto qualsiasi dirigenza, l’Ucraina cercherà di trarre vantaggio dalla propria posizione geografica e i Russi lo hanno capito molto tempo fa. È per questo che hanno il disperato bisogno di una via per aggirare l’Ucraina».

Anche se l’Ucraina, come la Turchia, cambiasse schieramento e ripudiasse l’intento d’entrare nella NATO, dovrebbe comunque ritagliarsi un nuovo ruolo, molto probabilmente riducendo le proprie commissioni di transito. Il contendente alla presidenza ucraina Viktor Janukovič si è detto deciso a firmare un accordo di cooperazione economica con la Russia e ad appianare i contrasti politici esistenti, come la questione della flotta russa e forse il riconoscimento dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. La Turchia potrebbe molto probabilmente seguirne l’esempio. «Se un paese occidentale riconoscesse l’indipendenza dell’Abkhazia – afferma Rahr – quello sarebbe certamente la Turchia, vista la numerosa diaspora abkhaza sul suo territorio».

Non c’è alcuna ragione per cui l’Ucraina non possa aderire alla nascente alleanza russo-turca, fondata sulla stabilità regionale e la pace, a differenza della NATO fondata sul contrasto e l’inimicizia. Questo lascerebbe il matto presidente georgiano Mikheil Saakashvili solo a combattere donchisciottescamente i suoi mulini a vento, dittatore di uno Stato menomato – tutto l’opposto del suo preteso ruolo di valoroso paladino della NATO in marcia verso est. Anche l’inveterato nemico turco, l’Armenia, sembra intenzionata ad aderire alla nuova formazione, come ha dimostrato lo scambio di ambasciatori dell’anno scorso.

http://www.eurasia-rivista.org/2902/russia-turchia-e-il-grande-gioco

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Canadian Eric Walberg is known worldwide as a journalist specializing in the Middle East, Central Asia and Russia. A graduate of University of Toronto and Cambridge in economics, he has been writing on East-West relations since the 1980s.

He has lived in both the Soviet Union and Russia, and then Uzbekistan, as a UN adviser, writer, translator and lecturer. Presently a writer for the foremost Cairo newspaper, Al Ahram, he is also a regular contributor to Counterpunch, Dissident Voice, Global Research, Al-Jazeerah and Turkish Weekly, and is a commentator on Voice of the Cape radio.

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