La Russia torna alle proprie origini logiche, regionali e strategiche, mentre con Obama gli USA vivono un lento risveglio dopo l’incubo neoconservatore.

L’ironia nelle attuali relazioni tra la Russia e l’America è che gli USA sono stati, negli ultimi vent’anni, ideologisti in modo così perverso, come mai la politica estera dei Soviet lo è stata. Ora la Russia sta ampliando le proprie relazioni economiche e politiche con le ex nazioni sorelle, sia nel “vicino estero” che nel Medio Oriente, senza nessuna delle macchinazioni che hanno caratterizzato le manovre di Washington del recente passato.

Uno dei molti segnali è il rapido riallineamento dell’Ucraina a partire dall’elezione del presidente Viktor Yanukovich. Non molto tempo fa il primo ministro russo Vladimir Putin ha ventilato l’idea di fondere la compagnia ucraina per l’energia nazionale Naftogaz Ukrainiy con il gigante russo Gazprom – una mossa, a detta di sbalorditi critici, che metterebbe a tutti gli effetti la rete strategica di gasdotti dell’Ucraina sotto il controllo di Mosca.

 

Il presidente della Gazprom Alexei Miller ha affermato che Gazprom sta prendendo in considerazione degli asset swap con Naftogaz, che darebbero a Gazprom il via libera al controllo sui gasdotti di transito e sugli impianti sotterranei di stoccaggio del gas, in cambio dell’accesso di Naftogaz agli asset di produzione in Russia come allo sviluppo di nuovi giacimenti gassosi. I gasdotti ucraini trasportano l’80 percento del gas naturale russo esportato in Europa. Se l’accordo va avanti significa la fine del gasdotto Nabucco, e probabilmente Gazprom abbandonerebbe o dismetterebbe il gasdotto South Stream.

 

 

Putin e il primo ministro ucraino Mykola Azarov hanno stipulato un’intesa per la creazione di una holding che dia effettivo controllo alla Russia sull’industria dell’energia nucleare in Ucraina e le fornisca accesso ai depositi di uranio grezzo. La Russia e l’Ucraina costruirebbero un impianto di arricchimento del combustibile nucleare in Ucraina e procurerebbero un credito di 5 miliardi di dollari per costruire due generatori di energia nucleare presso la centrale nucleare di Khmelnitsk. Ci sono anche accordi di acquisizione per opere nell’aviazione, nei cantieri navali e nella fabbricazione

Oltre al rinnovo del contratto per la base navale di Sebastopoli sul Mar Nero fino al 2042, la Russia spera di riaprire una base sottomarina in Crimea risalente all’era sovietica e di stabilire basi navali a Nikolayev e Odessa sulla costa del Mar Nero. “La pianificata espansione della Flotta del Mar Nero è il responso russo all’espansione NATO verso est”, queste le parole dell’Ammiraglio Vladimir Komoyedov, ex Comandante della Flotta del Mar nero, in merito all’installazione di basi NATO in Romania e Bulgaria. Ci si aspetta che il presidente russo Dmitri Medvedev firmi un accordo sulla modernizzazione della base di Sebastopoli durante una visita ufficiale in Ucraina la prossima settimana.

Vladimir Belaeff, presidente del Global Society Institute di San Francisco, dice che “L’attuale riavvicinamento tra l’Ucraina e la Federazione Russa era atteso da tempo”. Provati dalla crisi finanziaria occidentale, gli ex stati sovietici si volgono ora a Mosca per rinnovare legami di capitale e d’affari. L’economista ucraino-canadese Vlad Ivanenko ha dichiarato al Profile.org russo che è “inappropriato affermare che la Russia sta tentando di comprare l’Ucraina perché, economicamente, ci sono molti asset ucraini che vale la pena acquistare ai prezzi di mercato correnti. La necessità di assicurare loyalty a lungo termine spiega in parte perché la Russia sia pronta a pagare in anticipo un premo per il diritto all’uso esclusivo degli asset ucraini”.

 

È una “relazione pragmatica, creativa e trainata dall’opportunità”, a detta di Belaeff. I due paesi sono molto più vicini di, ad esempio, Stati Uniti e Canada, che ora rappresentano virtualmente un mercato integrato con la North America Free Trade Association. Egli vede le negoziazioni tra Gazprom e Naftogaz come “un progetto di salvataggio per la rete di gasdotti ucraini, considerata la generale scarsità di capitale disponibile”, e parallelamente agli altri accordi aiuteranno a prevenire il collasso della disfunzionale economia ucraina. Questa situazione è vantaggiosa per tutti: per un’Europa che barcolla sull’orlo del collasso finanziario, se non anche per gli strateghi militari di Washington.

 

La recente visita del presidente russo Dmitri Medvedev in Siria e in Turchia conferma ulteriormente che le relazioni internazionali iniziano ad assumere nuovamente un senso. Medvedev e il presidente siriano Bashar Al-Assad hanno stipulato accordi economici incluse vendite di armi, e la Russia rinnoverà la ex base navale sovietica a Tartus, che assieme alle basi navali ucraine conferirà alla Russia un profilo di maggior rilievo nella regione.

Da Damasco Medvedev è andato a Istanbul e ha firmato accordi per la costruzione di gasdotti e oleodotti, trasportando il petrolio dal Mar Nero per mezzo dell’oleodotto Samsun-Ceyhan, e costruendo in Turchia la prima stazione nucleare.

L’Ucraina, la Siria e la Turchia – questi rapidi sviluppi sono un rinnovamento della politica estera sovietica, benché in una forma molto diversa. Come per le relazioni tra la Russia e l’ovest, c’è un ritorno a quella che era tradizionalmente conosciuta come distensione, che coincide in particolare con la firma del rinnovato trattato START e la conferenza in corso a New York sul Trattato di Non Proliferazione Nucleare, dove il punto più importante all’ordine del giorno è far aderire Israele, che vede d’accordo tra USA e Russia. Questa è indubbiamente realpolitik.

La leadership Bush-Clinton-Bush ha abbandonato la realpolitik tentando di forzare la nuova e più debole nazione Russa ad accettare un ruolo di subordinazione nel nuovo ordine mondiale, alla maniera della Gran Bretagna o della Lettonia, e quando questo progetto è fallito, ha tentato di rianimare la Guerra Fredda. La politica Putin/Medvedev è di seguire un progetto europeo, ristrutturando l’economia parallelamente alle linee europee, nel contempo mantenendo una forza militare indipendente, facendo uso di gruppi come BRIC, SCO e CSTO per evitare di cadere nella trappola B-C-B. Il periodo “bandiera bianca” delle amministrazioni Gorbachev/Yeltsin è ormai alle spalle, nonostante la Russia impiegherà decenni a riparare il danno causato.

Obama, per forza degli eventi accaduti in Afghanistan, Iraq, Iran e Israele, è stato costretto a scendere a patti con questa realtà. La Russia ha accettato le invasioni di Afghanistan e Iraq nel bollente clima di frenesia post 11 Settembre, ma non accetterà ulteriori invasioni NATO o un’invasione USA dell’Iran. Permette che i rifornimenti NATO si riversino nel suo territorio diretti in Afghanistan e ha concesso a malincuore un anno di grazia alla base USA in Kirghizistan, ma i suoi confini sono stati chiaramente tracciati.

Potrebbe far ben poco, dacché la NATO ha inghiottito l’Est Europa e brandelli dell’ex Unione Sovietica, e ha concesso ai NATOfili ucraini cinque anni per gettare scompiglio finché gli ucraini hanno raggiunto da sé una propria percezione. Ma come Napoleone e Hitler furono distrutti da un eccesso di tensione, così NATO e USA vivono su fondamenta instabili (e su dollari USA che continuano a perdere significato). Quello che sembra “un passo avanti e due passi indietro” nelle relazioni di Obama con la Russia è davvero un’indicazione che la ritirata NATO/US è già iniziata.

Malgrado l’inerzia del lascito di Bush, il mondo sta riscoprendo il tradizionale equilibrio di forze nelle relazioni internazionali. La responsabilità della Russia è che la ritirata avvenga in modo da non risultare in una guerra totale.

 

  (traduzione di Irene Peruzzi)

http://www.eurasia-rivista.org/4328/tra-russia-e-america-alla-riscoperta-della-realpolitik

 

 

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Canadian Eric Walberg is known worldwide as a journalist specializing in the Middle East, Central Asia and Russia. A graduate of University of Toronto and Cambridge in economics, he has been writing on East-West relations since the 1980s.

He has lived in both the Soviet Union and Russia, and then Uzbekistan, as a UN adviser, writer, translator and lecturer. Presently a writer for the foremost Cairo newspaper, Al Ahram, he is also a regular contributor to Counterpunch, Dissident Voice, Global Research, Al-Jazeerah and Turkish Weekly, and is a commentator on Voice of the Cape radio.

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