Il panorama elettorale russo si è molto modificato nel corso degli ultimi due mesi, una trasformazione ispirata senza dubbio ai venti politici soffiati dal Medio Oriente e, in precedenza, dai Paesi vicini alla Russia, quelli del cosiddetto “Estero Vicino”, in passato teatro di rivoluzioni “colorate”. La disinvolta ricandidatura alla presidenza da parte del Primo Ministro Vladimir Putin è stata accolta come un gesto sfacciato dall’elettorato russo, desideroso di superare la tradizione che vede il potere politico concentrato nelle mani di un unico uomo forte e di infondere nel processo elettorale il principio del rispetto del voto nelle urne.



Contenendo le pretese degli oligarchi, restaurando il controllo statale sulle risorse e ridefinendo il ruolo della Russia quale attore indipendente nel sistema euroasiatico (per non parlare dei rapporti con gli USA) Putin ha giocato un ruolo leggendario nel salvataggio della Russia dalla crisi economica che negli anni ’90 aveva gettato il Paese in un abisso, assicurandosi così un posto di primo piano nei libri di storia. Secondo quanto emerso da un recente sondaggio promosso da VtsIOM, Putin è considerato, insieme a Dmitrij Medvedev, il più popolare tra i leader del secolo scorso (seguiti da Leonid Brežnev e poi Iosif Stalin, Vladimir Lenin, Michail Gorbačëev e per finire Boris El’cin, il meno popolare). Nonostante le proteste degli ultimi due mesi, che chiedono a gran voce “una Russia senza Putin”, è molto probabile che Putin otterrà più del 50% dei consensi alle elezioni del prossimo 4 marzo. Quindi, perché darsi ancora tanto da fare?

Sembra che il diretto interessato sia stato colto di sorpresa quando, nel novembre scorso, è esplosa la campagna “anti-Putin”, a seguito della sua decisione di ricandidarsi ed alimentata dalle rivelazioni riguardanti i brogli, tutt’altro che contenuti, alle elezioni parlamentari dello scorso dicembre. Per la prima volta dal crollo dell’Unione Sovietica, l’opposizione è riuscita ad unirsi e ad organizzare, una dietro l’altra, manifestazioni di grande effetto. Nonostante il gelido inverno russo, i manifestanti continuano ad arrivare – questa settimana [settimana scorsa, ndr] nei dintorni di Mosca si sono tenuti quattro raduni, per un totale di 130.000 persone.

Gli emblemi dell’opposizione includono anchel’ex ministro delle Finanze di Putin Aleksej Kudrin. Candidati alla carica di Presidente sono il leader comunista Gennadij Zjuganov (appoggiato per la prima volta dalle forze della sinistra indipendente), il nazionalista Vladimir Žirinovskij, il segretario di Russia Giusta Sergej Mironov ed il playboy oligarca Michail Prochorov – nessuno dei quali ha possibilità concrete di sconfiggere Putin. Questa volta vi sono 25 dibattiti televisivi, iniziati il 6 febbraio, che ospitano accesi scontri tra i contendenti i quali, oltre a dibattere tra loro, ingaggiano duelli verbali con “rappresentanti di Putin”.

Questa donchisciottesca riscalata del Cremlino è forse un caso di mania egocentrica? O rappresenta un nobile tentativo di consolidare definitivamente il ruolo della Russia quale contrappeso alla crescente aggressività di Stati Uniti e NATO in Eurasia, e di scuotere il panorama politico nazionale per assicurarsi che non piomberà nell’apatia quando egli stesso passerà il testimone? E se le cose andassero male, è proprio questa la Rivoluzione Bianca russa, tanto temuta dalle élites russe e tanto bramata dai congiurati occidentali?

La politica russa ha sempre confuso gli osservatori occidentali, e continua a farlo. Putin ha uno stile notoriamente autoritario, e se la cava così. Si è fatto scherno dell’opposizione dicendo che pensava che le prime manifestazioni fossero parte della campagna per la lotta all’AIDS e che i nastri banchi fossero preservativi. Ma ciò malgrado, Putin ha autorizzato le più ampie manifestazioni dell’opposizione dell’ultimo ventennio.

In Russia le ONG statunitensi per la promozione della democrazia, come la National Endowment for Democracy che ha giocato un ruolo chiave nella Rivoluzione arancione ucraina nel 2004, sono attive tra le fila dell’opposizione. Putin, dal canto suo, sta chiaramente scommettendo sul fatto che i cittadini russi ricorderanno gli sforzi esercitati in passato dagli Stati Uniti per manipolarli. Senza contare che i vincitori alle elezioni della Duma sono stati comunisti e nazionalisti, mentre le forze liberali filo-occidentali si sono piazzate solo al quarto posto, risultato che non ha per nulla soddisfatto le aspettative dei membri della NED.

Putin è noto anche per il suo desiderio di svelare al re statunitense che è nudo – l’ultimo episodio, la scorsa settimana in Siberia: “Alcune volte ho l’impressione che gli Stati Uniti non cerchino alleati, ma vassalli”. Oggi la politica estera russa è decisamente anti-NATO, sia per quanto riguarda l’incauto sistema missilistico occidentale sia in relazione alla sua smania di tramutare la Siria in un campo di battaglia. Voci indicanti la volontà di un accordo tra Russia, Iran e Paesi occidentali in merito alla situazione siriana sono state smentite. Tuttavia, vi sono allusioni al fatto che l’Iran potrebbe ancora avere dalla Russia i suoi missili terra-aria S-300 in cambio dell’accesso russo al drone statunitense catturato. Gli iraniani hanno recentemente annunciato di aver sviluppato una versione indigena di droni, e d’averne già quattro.

Le manifestazioni a favore di Putin sono numerose quanto quelle organizzate dai suoi oppositori. Stime ufficiali indicano la presenza di 140.000 partecipanti al festoso raduno di sabato. I sostenitori di Putin ribattezzano perfino i propri raduni come “anti-arancioni”. “Noi diciamo no alla distruzione della Russia. Noi diciamo no al governo americano… liberiamoci della spazzatura arancione”, in questo modo l’analista politico Sergej Kurginjan ha esortato la folla al Poklonnaja Gora di Mosca, il Parco in memoria della guerra. Putin ha ringraziato gli organizzatori, commentando con semplicità: “Io condivido la loro visione delle cose”.

La vera ragione del ritorno di Putin risiede nel non essere riuscito, durante i primi due mandati della sua “democrazia sovrana”, a limitare la corruzione. Sviluppando una forma moderna di autoritarismo sul modello di quello applicato in Corea del Sud alla fine della guerra, il governo di Putin ha permesso che la corruzione affondasse le proprie radici ancor più in profondità. Invece di barattare la libertà politica con un’amministrazione efficace, ha limitato i diritti politici e civili dei cittadini russi senza mantenere, d’altro canto, questa vitale promessa. Non ha nemmeno messo fine alla collusione tra lo Stato e le oligarchie, cosa che ha consentito al ribelle Alekeij Navalnij di catalizzare sapientemente l’opposizione intorno al suo slogan secondo il quale Russia Unita sarebbe “il partito dei truffatori e dei ladri”.

Questo stesso panorama si osservava in Ucraina nel primo decennio del ventunesimo secolo, quando fu possibile per i “NEDisti” scalzare un governo molto più debole, insediando nel 2004 il candidato filo-occidentale Viktor Juščenko. Tuttavia, invece di considerare attentamente i problemi interni che hanno portato alla Rivoluzione arancione, Putin ha scelto di focalizzare la propria attenzione sui fattori che minacciano dall’esterno la stabilità politica russa, mettendo da parte le questioni interne al Paese. Ha così dato vita a organizzazioni patriottiche giovanili, quali Naši (“Nostri”), e ha decretato festa nazionale il 4 novembre, Giorno dell’Unità – velocemente strumentalizzato dai nazionalisti russi.

Ad ogni modo, le paure dei russi in merito all’interferenza occidentale sono tutt’altro che ingenue. La Russia è stata risucchiata nel vortice di orrori della prima guerra mondiale dall’Impero britannico, ha sofferto devastanti invasioni nel 1919 e nel 1941, per poi vivere un altro mezzo secolo di ostilità perpetuate dall’Occidente nei suoi confronti nel corso della guerra fredda. Il successivo smembramento della Federazione Russa è in effetti stato un successo per l’Dccidente, del quale hanno beneficiato solamente i membri di una ridotta élite compradora, le multinazionali occidentali ed il Pentagono.

La democrazia sovrana di Putin – con elezioni trasparenti – potrebbe non essere un’alternativa così malvagia a quella che in molti Paesi occidentali viene fatta passare per democrazia. La sua novella Unione Eurasiatica potrebbe contribuire alla diffusione nel continente di una governance politica più responsabile. Potrebbe non essere quello che la NED ha in mente, ma sarebbe accolta positivamente da tutti i cittadini degli “stan”, per non parlare degli assediati Uiguri della Cina. Questa Unione Eurasiatica non punta ad essere un mezzo di disintegrazione e indebolimento, proponendosi piuttosto come strumento di integrazione e mutua sicurezza tra i Paesi membri, senza nessun bisogno né di basi USA/NATO né della scaltra propaganda della NED. L’Unione finirà certamente per includere la madre delle rivoluzioni colorate, l’Ucraina, Paese i cui cittadini aspettano ancora impazientemente l’apertura dei confini con la Russia e una più stretta integrazione economica. Sono finiti i giorni in cui si sognavano i Campi Elisi di un’altra UE. Oggi la dura e fredda realtà ha passato al candeggio le rivoluzioni colorate, facendo in modo che il bianco fosse l’unico colore appropriato alla versione russa del cambiamento politico.

Certamente la corruzione, il problema più grande, sarà l’elemento chiave che segnerà il successo o il fallimento del terzo mandato presidenziale di Putin. Al Forum d’Investimento 2012, tenutosi a Mosca la scorsa settimana, Putin ha delineato i piani per il passaggio della Russia dal 120° posto, quello in cui si trova attualmente, al 20° posto dell’indice della Banca Mondiale che cataloga i Paesi in base alla loro capacità di attrarre investitori, sottolineando l’importanza, a tal fine, dello snellimento della burocrazia russa e della lotta alla corruzione. “Queste misure non sono sufficienti. Sono fermamente convinto che la società debba partecipare attivamente alla creazione di un’agenda anti-corruzione”, ha dichiarato in tono solenne. La riforma del sistema legale e l’incremento degli sforzi per l’instaurazione di un sistema democratico saranno gli elementi chiave della lotta alla corruzione, non solo tramite decreti presidenziali, ma attraverso un rafforzamento dei poteri dei funzionari eletti e degli elettori. Putin ha confermato tutto ciò questa settimana, nell’ultimo dei quattro grandi discorsi per-elettorali da lui tenuti, promettendo il decentramento dei poteri dalle federazioni alle municipalità e una maggiore informatizzazione delle pratiche e delle informazioni, due fattori che permetteranno di incrementare la qualità dei servizi del governo.

Finora le cose sembrano andare bene. Per la prima volta dal 1995 ci saranno delle elezioni presidenziali combattute e monitorate per garantirne la trasparenza, con la netta possibilità di un ballottaggio (a meno che il nuovo Ambasciatore statunitense Michael McFaul continui ad invitare i pupilli della NED a Spaso House). Una specie di dibattiti tra i candidati, grandi raduni organizzati dall’opposizione e la nuova e indipendente Lega degli Elettori, finalizzata ad assicurare elezioni trasparenti, sono un ottimo precedente, che assicura come oggi ed in futuro vi sarà dibattito genuino sul futuro della Russia.

Nonostante tutti i tentativi di evitare lo scoppio di una rivoluzione colorata in Russia, essa è cominciata – in stile russo – non con il crollo del sistema statale ma grazie ad un nuovo ed articolato elettorato, che ben conosce sia i politologi del Cremlino, sia le dinamiche legate alle ONG occidentali. A questo punto, è impossibile per chiunque prevedere quale sarà la direzione finale.

http://www.geopolitica-rivista.org/16406/la-russia-e-la-rivoluzione-bianca/

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Canadian Eric Walberg is known worldwide as a journalist specializing in the Middle East, Central Asia and Russia. A graduate of University of Toronto and Cambridge in economics, he has been writing on East-West relations since the 1980s.

He has lived in both the Soviet Union and Russia, and then Uzbekistan, as a UN adviser, writer, translator and lecturer. Presently a writer for the foremost Cairo newspaper, Al Ahram, he is also a regular contributor to Counterpunch, Dissident Voice, Global Research, Al-Jazeerah and Turkish Weekly, and is a commentator on Voice of the Cape radio.

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