In “Russia, Turchia e il Grande Gioco: cambio di schieramento” è stata descritta la nuova disposizione dei giocatori. Qui Eric Walberg prende in considerazione le implicazioni per il Vicino Oriente.
Un campo da gioco fondamentale nell’odierno Grande Gioco è la Palestina/Israele, dov’ancora è in corso un tentativo d’incontro tra le posizioni di Russia e Turchia. A differenza degli USA e di gran parte dell’Europa, entrambi i paesi hanno accettato il Rapporto Goldstone sulle atrocità commesse durante l’invasione israeliana di Gaza del dicembre 2008, in occasione della quale morirono 100 palestinesi per ogni caduto israeliano. Pur avendo importanti relazioni economiche con Israele, nessuno dei due governi è succube di Tel Aviv come lo sono invece quelli degli USA e dell’Europa.
Lo scrittore dissidente israeliano Israel Shamir ha lodato la dirigenza turca in occasione d’una conferenza tenutasi a Ankara lo scorso dicembre: «Il vostro presidente Gul – disse – qualche giorno fa ha informato il nostro presidente Peres che non visiterà Israele finché continuerà l’assedio di Gaza. La Turchia non è più una colonia americana. Avete interrotto le esercitazioni aeree congiunte con Israele e gli USA. Avete espresso chiaramente la vostra rabbia per gli orrori di Gaza. Oggi prestate più attenzione all’area in cui vivete; ricoprite un ruolo già importante, ma destinato a diventarlo ancora di più. Tanto dipende da voi! Lo percepiamo ogni giorno, in Palestina».
Shamir ha invitato la Turchia, in quanto erede della tutela ottomana sulla Palestina, di seguire le orme dei giudici britannici e spagnoli – che emanarono mandati di cattura contro il generale cileno Pinochet e la prima ministra israeliana Tzipi Livni per omicidio – ed ordinare l’arresto dell’infame Capitano R, accusato d’aver ucciso un bambino palestinese (Iman Al-Hams) ma celebrato in Israele come un eroe. «Un mandato di cattura turco lo perseguiterebbe ovunque», così come «secondo la legge israeliana, un turco che facesse del male ad un ebreo in Turchia potrebbe essere catturato, arrestato, processato e punito in Israele. La Turchia dovrebbe introdurre una legge simmetrica a tutela dei Palestinesi, altrimenti inermi dal punto di vista giuridico».
Benché improbabile, un simile provvedimento sarebbe straordinariamente popolare. A differenza degli Occidentali, giornalmente sottoposti a lavaggio del cervello con dosi massicce di propaganda filo-israeliana, i Turchi e la maggior parte dei Russi non servono al progetto sionista. Certo: oltre un milione di russi hanno accettato l’invitante offerta dell’istantanea cittadinanza israeliana in cerca d’una vita migliore, sostanziando la propria “ebraicità” col matrimonio o con un nonno ebreo. Eppure, malgrado lo sciovinismo del ministro degli Esteri russo-israeliano Avigdor Lieberman, molti di questi russo-israeliani non sono strumentali al progetto sionista, non condividendone l’innato razzismo: alcuni si sono persino sposati con palestinesi. Molti stanno facendo ritorno in Russia, amareggiati per il trattamento ricevuto dai sabra (gli Ebrei nati in Israele). La simpatia dei Russi, ebrei e non ebrei, va istintivamente ai Palestinesi.
L’Unione Sovietica fu uno dei primi paesi a riconoscere lo Stato di Palestina dopo la Dichiarazione d’indipendenza del 1988, e la Russia ha mantenuto questa posizione. Durante la visita in Russia dell’anno scorso, il ministro degli Esteri palestinese Riad al-Maliki ha ricordato come «la presenza di un’ambasciata palestinese a Mosca segnala quanto strette siano le nostre relazioni». Visitando la Russia una settimana dopo l’israeliano Lieberman, trovò immutata la posizione russa sul processo di pace e la questione degl’insediamenti israeliani costruiti nei territori occupati.
In qualità di membro del cosiddetto “quartetto” negoziale (assieme a Unione Europea, Stati Uniti e Nazioni Unite), la Russia ha aderito ai princìpi della “road map”, che impone a Israele il congelamento degl’insediamenti nei territori occupati quale pre-condizione per ulteriori negoziati.
La Russia ha 16 milioni di musulmani, circa il 12% della popolazione, e l’islamofobia all’occidentale (col suo pendant, la giudeofilia) non trova molto spazio. Recentemente ha preso parte come osservatore all’Organizzazione della Conferenza Islamica, esprimendo l’interesse alla piena adesione. Il problema che continua ad ostacolare una chiara politica verso i paesi musulmani (Turchia inclusa) è ovviamente la tragedia cecena ed il persistere del terrorismo islamista in Russia, cosa che provoca sentimenti anti-musulmani nelle città, che prosperano sulla forza lavoro a basso costo proveniente dagli “stan”, e dove gran parte del commercio al dettaglio è in mano a ceceni ed altri “neri”.
«In Europa – spiega Shamir – se s’indaga sui finanziamenti ai gruppi neo-nazisti anti-musulmani, si scopre che dipendono dal sostegno ebraico. In Russia, i nazionalisti ebrei ed i sionisti hanno provato a rivolgere la cittadinanza contro i propri fratelli musulmani. Talvolta l’hanno fatto sotto la copertura della Chiesa, tal altra sotto quella del nazionalismo russo. Le più ferventi forze anti-musulmane in Russia sono organizzate da cripto-sionisti».
Al pari di qualsiasi altro paese di rilievo, anche in Russia i sionisti hanno un proprio gruppo di pressione. Evgenij Satanovskij (nomen omen), presidente dell’Istituto per gli Studi Medio-Orientali di Mosca, ricorrendo al pluralia maiestatis ha affermato: «Per noi non c’è alcuna distinzione tra “ribelli” e “terroristi”, come c’è invece in Europa. Fanno tutti parte della stessa jihad, e in questo concordiamo con Israele». Mentre si prodiga per diffondere sentimenti anti-musulmani tra i Russi, Satanovskij s’è scordato di menzionare il sostegno che i suoi colleghi accordano a quegli stessi “jihadisti”.
L’impronta sionista in Cecenia trasparve in occasione dello scandalo relativo all’uccisione di Aleksandr Litvinenko, disertore del FSB russo, avvenuta a Londra nel 2008. Con un colpo di scena degno d’un romanzo di Le Carré, Litvinenko si convertì all’Islam sul letto di morte, vegliato da due esuli: il capo dei ribelli ceceni Ahmed Zakaiev e l’oligarca russo Boris Berezovskij, le cui credenziali sioniste sono ben note. Se è impossibile accertare la natura e l’intensità dell’azione del Mossad nel Caucaso, non c’è dubbio che sostenere i terroristi sia un utile strumento in mano a Israele per mettere sotto pressione il governo russo, né che le forze di sicurezza russe facciano del proprio meglio per tenerne traccia.
Turchia, Russia e Palestina condividono una minaccia geopolitica comune: i piani globali di USA e Israele, che vanno dall’espansione orientale della NATO ai progetti di guerra all’Iràn all’incessante colonizzazione di quanto rimane della Palestina. E se la Russia deve lottare contro l’espansione verso est della NATO, tesa a circondarla e contenerla, «se gli USA e Israele prendessero l’Iràn – scrive Shamir – la Turchia sarebbe accerchiata ed isolata. Anche la sorte dei Palestinesi è legata a quella di Tehrān».
Shamir s’è congratulato col Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) turco per la sua trionfale riconferma elettorale nel 2007: «L’Oriente ritorna a Dio e ritrova la propria strada. Istanbul ha seguito Gaza: la Turchia dell’AKP sarà amica della Palestina di Hamas, dell’Iràn islamico, della Russia e della Grecia ortodosse, della resistenza religiosa del vicino Iràq. Recupererà la sua piazza d’onore al centro del mosaico orientale, mentre i suoi generali filo-americani e nemici di Dio, i Dahlan turchi, rientreranno strisciando nelle proprie caserme. La fede in Dio c’unisce, mentre i nazionalismi ci dividono». I mutamenti occorsi da allora nella politica turchia non fanno che confermare le previsioni di Shamir.
C’è una pax russa che va delineandosi? L’Ucraìna si prepara ad abbandonare la politica anti-russa dei rivoluzionari arancioni. Ucraìna e Turchia dipendono fortemente dalle forniture energetiche russe, e le rispettive politiche s’adattano a questo stato di cose ed all’avversione per l’aggressività statunitense. Se la Georgia si liberasse del suo presidente russofobo e filo-statunitense, l’egemonia degli USA nella regione svanirebbe in un attimo.
Armenia e Azerbaigian, malgrado l’acredine che le separa, hanno oggi buone relazioni con Turchia e Russia e, inevitabilmente, dovranno sotterrare le asce di guerra, poiché il loro conflitto non è più in grado d’attrarre sostegno nell’interesse della politica di potenza. Gl’Iraniani hanno giudiziosamente rifiutato d’arrendersi alle pressioni occidentali ed israeliane. La loro stella non potrà che salire, mentre declina quella degli USA e d’Israele.
(Traduzione di Daniele Scalea)